Anche d’estate si muore di lavoro

di Giorgio Langella (segretario regione Veneto del PCI)

Anche se qualcuno si ostina a dirci che i morti sul lavoro, sono in “leggero calo” rispetto all’anno scorso (dalla comunicazione INAIL che si riferisce al primo semestre dell’anno ci sarebbero 4 morti in meno rispetto allo stesso periodo del 2017), la realtà è sotto gli occhi di tutti. Tenendo conto anche dei lavoratori che non sono assicurati INAIL, nei primi otto mesi di questo disastroso 2018, sono 494 i morti nei luoghi di lavoro. Nello stesso periodo del 2017 sono stati 453. Non c’è diminuzione ma un aumento, quindi, del 9%. Nei primi otto mesi del 2008, i lavoratori morti nei luoghi di lavoro, furono 407. Rispetto a dieci anni fa, l’aumento è, quindi, del 21,37%.

E se si guardano i dati di questi mesi, si capisce che sul lavoro e di lavoro, nel nostro “civilissimo” paese si muore sempre di più. Nel mese di agosto sono morti 68 lavoratori. Negli ultimi tre mesi sono stati 198.

Numeri impressionanti, che dovrebbero provocare sconcerto, indignazione, allarme. E, invece, niente. È, questa, la normalità di un sistema malato e profondamente ingiusto.

Ci si abitua alla strage quotidiana di lavoratori e si crede che il pericolo venga da poche decine di immigrati disperati che arrivano nei nostri porti. Li chiamiamo “invasori”. Ma come dovremmo chiamare quelli che sono indifferenti di fronte ai tantissimi morti sul lavoro? E come dovremmo definire quei governanti, piccoli personaggi che cavalcano l’odio e la paura per il proprio tornaconto, e che “se ne fregano” delle tragedie del lavoro?

Domani ricominceremo la nostra vita, la nostra attività e penseremo che morire di lavoro accade, sì, ma sempre agli altri. Che morire mentre si lavora è dovuto a distrazione o a una tragica fatalità. Cercheremo di non pensare.

E, così, rivolgeremo la nostra attenzione ai nemici che ci vengono imposti. Agli “zingari che rubano”, ai “neri che ci portano via il lavoro” e non penseremo che, in pochi mesi, centinaia di persone, uomini e donne, giovani e anziani, operai, contadini, impiegati … non importa, non sono tornati più dal lavoro. Che sono state uccise dalla stanchezza, dai turni di lavoro massacranti, dall’inesperienza, dai troppi anni di fatica, dal non riuscire ad andare in pensione … dal profitto del padrone che deve essere raggiunto a qualsiasi costo, anche tagliando i livelli di sicurezza. In poche parole, sono morte, uccise dalla normalità imposta da quel sistema spaventoso che sta trionfando e che ha il nome di capitalismo. E continuano a morire nascoste nelle pieghe di una diffusa e colpevole indifferenza.